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Santi del 23 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Sant'Allucio di Campugliano in Valdinievole - Confessore (23 ottobre)
m. 1134
Patronato: Pescia (PT)
Etimologia: Allucio = nutrito di luce, antico nome medioevale
Martirologio Romano: A Campugliano in Valdinievole in Toscana, Sant’Allucio, che, vero uomo di pace, protesse i poveri e i pellegrini e liberò i prigionieri.
Poche zone della Toscana possono vantare l'amabilità alacre e la riposante bellezza della Val di Nievole, tra Montecatini e Lucca, e poche città possono assommare, come Pescia, centro della Val di Nievole, ricordi storici e operosità pratica, bellezze naturali e artistiche e sapiente fervore di vita e opere civili.
Sant'Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie sono accolte nella bella cattedrale della città. Ed è un Santo che ben incarna le caratteristiche di una terra e di un popolo, perché fu strenuo senza essere rigido; ascetico senza essere astratto; votato alla contemplazione, ma anche pronto all'azione; di profonda pietà, ma anche di ardente carità.
Egli era nato, nell'XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina. Ragazzo, custodiva gli armenti, quando si fece notare per insoliti episodi che testimoniavano la sua non comune tempra spirituale.
Cresciuto d'anni, venne affidato alla sua operosa pietà l'ospizio di Campugliano, praticamente in rovina. Allucio lo riportò ad un'ammirabile efficienza di bene, aiutato da alcuni compagni ricchi
come lui di zelo di carità, detti poi Fratelli di Sant'Allucio.
Per assistere meglio i poveri e i bisognosi, il giovane Allucio fondò un altro ospizio sul Monte Albano. Un terzo lo creò presso la riva dell'Arno, sul quale costruì addirittura un ponte, per comodità dei pellegrini. Quest'ultima non fu impresa facile, non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant'Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all'altra.
1 miracoli, a detta della tradizione, si moltiplicarono numerosissimi intorno al benefattore dei poveri. Per questo gli furono demandate, in città lontane, vere e proprie missioni diplomatiche, che Allucio svolse con successo, riuscendo a pacificare tra loro, per esempio, le due città rivali di Ravenna e di Faenza. Tra gli interventi miracolosi tramandati dalla devozione, il più insolito fu quello dell'uomo al qualeerano stati cavati gli occhi, come punizione per qualche delitto commesso, secondo la cosiddetta " legge del taglione", comune nel Medioevo.
Non per dispregio della giustizia, ma per pietà dell'accecato, anche se colpevole, Sant'Allucio avrebbe rimesso al loro posto gli occhi nelle cave orbite del condannato, restituendogli la vista.
Quanto era attivo nel fare il bene, altrettanto era severo con se stesso, Non mangiava mai carne, né formaggio, né uova. Digiunava tre volte alla settimana. E per sette Quaresime consecutive non toccò cibo affatto. Morì nel 1134, sereno e attivo fino all'ultimo istante. Immediatamente venne fatto oggetto di un vivace culto popolare.
Soltanto nel '700, però, il suo culto venne autorizzato ufficialmente dalla Chiesa, e pochi anni dopo le reliquie di Sant'Allucio trovavano degna accoglienza nella cattedrale di Pescia, la città di cui l'antico Santo penitente e benefattore sembrava fatto su misura.
(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Sant'Allucio di Campugliano in Valdinievole, pregate per noi.

*Beati Ambrogio Leone Lorente Vicente, Fiorenzo Martino Ibanez Lazaro ed Onorato Andrea Zorraquino Herrero - Religiosi e Martiri (23 ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Lasalliani di Valencia" Beatificati nel 2001”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001 Senza data (Celebrazioni singole)”
“Martiri della Guerra di Spagna “

+ Benimaclet, Spagna, 23 ottobre 1936

Martirologio Romano: Nella cittadina di Benimaclet sempre nel territorio di Valencia in Spagna, Beati Ambrogio Leone (Pietro) Lorente Vicente, Fiorenzo Martino (Alvaro) Ibáñez Lázaro e Onorato (Andrea) Zorraquino Herrero, religiosi dell’Istituto dei Frati delle Scuole Cristiane e martiri, che sempre nella medesima persecuzione sparsero il sangue per Cristo.
Ambrosio Leon (Pedro Lorente Vicente)
Ojos Negros, Spagna, 7 gennaio 1914 - Benimaclet, Spagna, 23 ottobre 1936
Pedro Lorente Vicente nacque a Ojos Negros, nei pressi di Teruel in Spagna, il 7 gennaio 1914.
Fu battezzato quattro giorni dopo.

Desideroso di divenire Fratello Lasalliano, entrò prima nell’ Aspirantato di Monreal del Campo e poi, il 7 novembre del 1925, nell’Aspirantato di Cambrils.
Vestì l’abito il 1° febbraio 1930 ed assunse il nome religioso di Ambrosio Leon.
Destinato nel 1932 alla scuola di Nostra Signora del Carmelo di Bonanova, si rivelò professore competente, amato e stimato dagli allievi.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel 1936 i miliziani irruppero nella scuola e lo costrinsero insieme ai suoi confratelli ad abbandonare la comunità.
Rifugiatosi a Valencia con i fratelli Florencio Martin ed Honorato, fu scoperto, incarcerato ed infine giustiziato dopo un processo sommario.
Preghiera
Signore Gesù il nostro Fratello Ambrogio fu un educatore eminente e prestigioso;
dimostrò sempre di essere un uomo forte
tanto nella scuola quanto in carcere.
Aiutaci ad avere obbiettivi chiari e a lottare
per quello che crediamo giusto per migliorare il mondo in cui viviamo.
Aiuta tutti gli educatori a trasmettere valori e non illusioni e compromessi.
Aiuta specialmente tutti i professori delle nostre scuole. Così sia.
Florencio Martin (Alvaro Ibanez Lazaro)
Godos, Spagna, 12 giugno 1913 - Benimaclet, Spagna, 23 ottobre 1936
Alvaro Ibanez Lazaro nacque a Godos, nei pressi di Teruel in Spagna, il 12 giugno 1913. Il giorno successivo ricevette già il sacramento del Battesimo. Desideroso di divenire Fratello Lasalliano, entrò nell’Aspirantato di Cambrils il 10 novembre del 1927.
Assunse l’abito nel Noviziato della stessa casa il 14 agosto del 1929, con il nome religioso di Florencio Martin.
Iniziò il suo apostolato nella scuola della Barceloneta, nel febbraio 1932.
Dall’estate dell’anno seguente passò alla comunità della Bonanova. Era buono ed ottimista per natura, di carattere simpatico e cordiale.
A queste qualità si aggiungevano le sue innate doti per l’arte e il canto.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio 1936 la comunità fu dispersa ed in compagnia dei Fratelli Onorato Andrea ed Ambrogio Leone, si rifugiò dapprima nella città di Barcellona, poi decise di tornare al paese natale. Durante il viaggio, in una sosta a Valencia, fu catturato e giustiziato.
Preghiera
Signore Gesù: grazie per Fratel Florenzio. Grazie perché fu terra buona e fertile.
Grazie per le sue grandi qualità per l'educazione cristiana.
Fai che anche noi possiamo essere terra buona e produttiva,
gente buona che cammina per il mondo regalando umanità,
generosità, amore e perdono.
Che possiamo essere anche capaci, come Fratel Florenzio,
di dare la vita per Te e per i nostri fratelli. Così sia.
Honorato Andrés (Andrés Zorraquino Herrero)
Banon, Spagna, 18 aprile 1908 - Benimaclet, Spagna, 23 ottobre 1936
Andrés Zorraquino Herrero nacque a Banon, nei pressi di Teruel Spagna, il 18 aprile 1908. Desideroso di divenire Fratello Lasalliano, il 27 luglio 1924 entrò nell'Aspirantato di Cambrils e il 15 agosto seguente vestì l’abito nel Noviziato di Hosarlets de Llers, assumendo il nome religioso di Honorato Andrés.
Terminata la sua formazione pedagogica e religiosa nello Scolasticato di Cambrils, iniziò il suo apostolato a Tortosa e successivamente a Gracia, nonché nel Collegio di Nostra Signora della Bonanova a Barcellona.
Caratterialmente serio e riflessivo, si mostrò sempre amorevole con i suoi Fratelli e alunni, semplice e competente nel suo lavoro di educatore.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio 1936 Fratel Onorato visse la stessa sorte dell’intera sua comunità.
Con i fratelli Florencio Martin e Ambrosio Leon, si accordò per far ritorno nella loro terra, l’Aragona. Ciò significava però passare per Valencia.
Iniziarono il viaggio a piedi, ma giunti a Valencia si resero conto che non era possibile continuare. Vennero allora ospitati nella casa di una zelante signora, ma dopo alcuni giorni vennero scoperti e riconosciuti come religiosi. Questo bastò per decretare la loro esecuzione.
Preghiera
Signore Gesù, rendici forti come querce,
liberi come Fratel Onorato Andrea, umili e buoni.
Ti vogliamo ringraziare per La Salle, i suoi Fratelli e Professori.
Essi ci aiutano a formarci come persone e ad apprendere cultura e educazione.
Se ce lo chiedi, dacci la forza e la generosità di dedicare la nostra vita
al servizio dei bambini e dei giovani. Così sia.
Questi tre religiosi e due altri loro confratelli appartenenti alla Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane furono beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II con un gruppo composto complessivamente di ben 233 martiri della medesima persecuzione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Ambrogio Leone Lorente Vicente, Fiorenzo Martino Ibanez Lazaro ed Onorato Andrea Zorraquino Herrero, pregate per noi.

*Beato Andrés Navarro Sierra - Sacerdote e Martire (23 ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" - Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" - Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Tabernas, Spagna, 28 settembre 1882 – Almería, Spagna, 23 ottobre 1936

Andrés Navarro Sierra nacque a Tabernas, in provincia e diocesi di Almería, il 28 settembre 1882. Nel 1904 fu ordinato diacono; la data dell’ordinazione sacerdotale è ignota.
Aveva un beneficio presso la Cattedrale dell’Incarnazione di Almería ed era cappellano delle Dame Catechiste quando morì in odio alla fede cattolica il 23 ottobre 1936, nel cimitero di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Andrés Navarro Sierra, pregate per noi.

*Beato Arnoldo (Jules-Nicolas) Rèche - Fratello delle Scuole Cristiane (23 ottobre)
Landroff (Metz), 2 settembre 1838 - Reims, 23 ottobre 1890
Martirologio Romano: A Reims in Francia, Beato Arnoldo (Giuliano Nicola) Rèche, fratello delle Scuole Cristiane, che, docile in tutto allo Spirito Santo, si adoperò con sommo zelo per i giovani, sempre assiduo nei suoi doveri di maestro e nella preghiera.
Passare d’un sol colpo da carrettiere ad insegnante sarà pure un bel avanzamento e una forma di riscatto sociale, ma, come si può intuire, non è né facile né indolore. Onori e meriti a chi ci riesce, dunque, ma anche profonda comprensione per chi fatica di più e finisce per essere carente o a livello didattico o sul piano pedagogico.
D’altronde, la vita grama della famiglia Rèche non era certo imputabile a Nicolas-Jules, il primogenito, che fin dai primi anni di vita si era visto rovesciare addosso problemi più grossi di lui: la morte prematura della mamma, otto fratelli da allevare e curare, il papà calzolaio da aiutare nella difficile impresa di trovare i soldi per sfamare tutti.
Naturale che lui, il primogenito, dopo aver frequentato con profitto i primi anni di scuola, dovesse abbandonare i libri e mettersi a lavorare.
Prima come garzone di campagna, poi come cocchiere, per un certo tempo come lavoratore a giornata nei campi dei vicini e infine anche come carrettiere. Dove non trova certo un ambiente raffinato da salotto borghese, e il giovanotto finisce per sbandare, a causa di un collega volgare e
ubriacone.. Però si riprende subito, grazie alle “buone radici” che la famiglia gli ha trasmesso e agli insegnamenti che riceve all’oratorio festivo gestito dai Fratelli delle Scuole Cristiane.
Da loro decide di entrare a 24 anni, prendendo il nome di Fratel Arnoldo, con lo scopo dichiarato di dedicarsi anima e corpo all’educazione della gioventù. Riprende i libri in mano, familiarizza di nuovo con la scuola e due anni dopo si ritrova insegnante a Reims: forse un passaggio un po’ troppo brusco ed affrettato, se da subito si manifestano i suoi limiti.
Il fatto è che la sua pedagogia non va molto d’accordo con la sua didattica; così, mentre di giorno in giorno si notano i suoi progressi di insegnante, che trascorre anche tutta la notte a preparare coscienziosamente la lezione del giorno dopo, tutti vedono e sentono che l’ordine e la disciplina non sono proprio il suo forte. Fatica infatti enormemente a farsi ubbidire e ad ottenere il silenzio, spesso è fatto oggetto degli scherzi bonari dei suoi alunni; in compenso gli riesce facile farsi amare da tutti per la sua semplicità e per il suo cuore grande.
Cosciente dei suoi limiti, li vive come la sua croce da portare in silenzio, assolvendo al suo incarico di insegnante nel migliore dei modi a lui possibile. E questo, fino a che i superiori lo ritengono più adatto ad insegnare agraria, botanica e zoologia, dove si trova più a suo agio per la sua indole, formatasi in prevalenza nel lavoro dei campi.
E anche il suo ascendente sugli alunni cresce, perchè riesce ad entusiasmarli ed interessarli, ora con esperimenti su nuove varietà di grano e orzo da far coltivare nei campi dei suoi fratelli o nella catalogazione delle varie specie vegetali. Dove fallisce l’insegnante, in ogni caso, non fallisce l’uomo e il religioso: sa essere caldo e accogliente con tutti, gioioso e simpatico con i Fratelli, caritatevole fino all’eccesso come dimostra nella cura delle migliaia di feriti della guerra franco-prussiana. Tutti capiscono che la radice di questa gioia e di questa fraternità affonda nel prolungato colloquio con Dio, nell’ascolto continuo della Scrittura, nella pratica anche di penitenze corporali, cui si sottomette nel tentativo di migliorare se stesso.
Tutte qualità e attitudini che cerca di trasmettere ai giovani, quando lo nominano direttore del Noviziato di Thillois. La spiritualità di questo umile Fratello è tutta incentrata sulla passione di Gesù e sullo Spirito Santo, il solo che “fortifica il cuore degli uomini”. La sua vita è costellata di piccoli episodi che hanno del soprannaturale: dalla sua capacità di scrutare le coscienze a guarigioni o cessate calamità che creano attorno a lui la fama di santo.
Colpito da ictus, muore il 23 ottobre 1890, a soli 52 anni.. Giovanni Paolo II° lo ha beatificato il 1° novembre 1987.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Jules Nicolas Rèche nacque il 2 settembre del 1838 a Landroff, diocesi di Metz in Francia, primo dei nove figli di Claudio Rèche e Anna Clausset. La sua famiglia era povera ma la fede cristiana sosteneva validamente tutti; la mamma purtroppo si ammalò gravemente e dopo qualche tempo morì.
Jules Nicolas già da bambino, oltre che studiare con impegno, dovette dare una mano al padre calzolaio aiutandolo a sostenere la famiglia, tanto più che dopo la morte della mamma, papà Claudio dovette badare da solo alla numerosa e povera famiglia; quindi Jules andò a servizio presso i signori Grueber, i quali lo apprezzarono per il suo impegno e aiutarono volentieri anche la sua famiglia sempre più bisognosa.
Il giovane Rèche crebbe nella devozione a Maria, ogni sera in casa si recitava il rosario, considerandola la sua mamma e la sua ‘Regina’; trovava il tempo fra studio e lavoro di frequentare la parrocchia, di servire all’altare, di essere assiduo al catechismo e di fare il catechista lui stesso per i suoi compagni.
A 21 anni concluse il servizio presso la famiglia Grueber e dopo una parentesi di servizio come cocchiere nel castello di Faville Fouligny, che lasciò perché l’ambiente non era ideale per la sua fede, né per la sua sempre più sentita vocazione religiosa, Giuliano Nicola Rèche accettò l’invito di un impresario edile e dal 1859 al 1862, fece il carrettiere per l’impresa che stava costruendo una chiesa a Charleville nelle Ardenne.
Qui ebbe un periodo di sbandamento e crisi, influenzato da un amico libertino e ubriacone, ma richiamato da una sua zia, seppe ritornare sulla retta strada e pentito seguì una vita di dura penitenza, tanto da essere rimproverato dal suo medico.
Prese nel contempo a frequentare l’Oratorio dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che erano ritornati a Charleville dopo la Rivoluzione Francese.
Il benemerito Ordine, fondato da San Giovanni Battista de La Salle, dedito soprattutto
all’istruzione dei giovani con metodi innovativi, aveva organizzato dei Corsi serali per giovani lavoratori, ai quali s’iscrisse Giuliano Rèche; così nell’inverno 1861-62 frequentò le lezioni di francese, matematica e contabilità.
Il contatto con i Fratelli risvegliò la sua vocazione religiosa, coltivando l’idea di dedicarsi all’educazione dei giovani. Il 13 novembre 1862 entrò nel Noviziato e il 23 dicembre vestì l’abito con il nome di Fratel Arnoldo; il suo noviziato fu un luminoso esempio di intensa vita spirituale, suscitando l’ammirazione di confratelli e superiori; nel 1863 fece la sua professione religiosa.
Subito dopo fu mandato ad insegnare nel convitto dei Fratelli a Reims, dove i Superiori ebbero qualche perplessità di fronte a questo giovane volenteroso e buono, ma più adatto ai lavori di campo e del carretto, che ad insegnare.
Nonostante ciò fratel Arnoldo, a cui furono affidati i più piccoli, seppe mostrare pazienza ed impegno, guadagnandosi l’affetto dei ragazzi, più che la disciplina.
Nel tempo libero si preparò ai diversi esami per ottenere il diploma di maestro, che conseguì con lode il 24 settembre 1868 a Parigi; su consiglio dei superiori cambiò indirizzo, diventando un competente insegnate di agricoltura.
Restò a Reims per 14 anni fino al 1877, quando fu nominato maestro dei novizi a Thillois, qui formò alla vita religiosa i giovani, con fermezza, dignità, comprensione, umiltà, nel contempo approfondì la sua cultura studiando teologia e ascetica.
Nel 1881 ritornò nei sobborghi di Reims, trasferendo il Noviziato nella “Casa del S. Cuore”, dove accolse anche un gruppo di Fratelli anziani.
Il suo continuo lavoro però stava per giungere alla fine, nel 1889 lo colpì una tosse acuta e persistente seguita da una pleurite infettiva, il suo fisico già stanco fu minato inesorabilmente; dopo un corso di Esercizi da lui predicato, la pleurite si acutizzò.
Nel marzo 1890 fu esonerato dalla carica di maestro dei novizi, rimanendo come Direttore della “Casa del Sacro Cuore”. Il 23 ottobre 1890 ebbe una congestione cerebrale, che lo portò alla morte quella notte stessa a soli 52 anni.
Il suo corpo riposa nella Casa oggi “Centro Fratel Arnold” di Reims. Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificato il 1° novembre 1987 a Roma.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Arnoldo Rèche, pregate per noi.

*San Benedetto di Poitiers - Sacerdote (23 ottobre)
Martirologio Romano: Nel territorio di Herbauge presso Poitiers in Francia, San Benedetto, sacerdote.
Conosciuto anche sotto i nomi di Benedetto di Quincay e di Benedetto di Herbauge. La più antica menzione di lui è contenuta nel calendario premesso al cosiddetto Sacramentarium Godelgaudi, composto verso l'800 dal sacerdote Lamberto per Godelgaldo, decano di San Remigio a Reims.
Vi si legge, infatti: «XI Kal. Novembris, in pago Hertabilico depositio Sancti Benedicti presbyteri». Dunque nell'Herbauge, piccolo territorio compreso tra i dipartimenti della Loira inferiore e della Vandea, si ricordava un Benedetto, sacerdote, vissuto prima del sec. IX.
Verso l'860 il Martirologio di Usuardo (PL, CXXIV, coll. 609 sg.) al 23 ottobre riporta il seguente elogio, passato poi nel Martirologio Romano: «In pago Pictavensi sancti Benedicti confessoris».
Con ogni probabilità bisogna ammettere che tali elogi si riferiscono allo stesso santo, il quale invece va nettamente distinto da San Benedetto di Macérac venerato al 22 ottobre, dal momento che quest'ultimo era ancora vivo al tempo della composizione del Sacramentarium Godelgaudi, e che la sua festa in tale data ricorda la traslazione delle sue reliquie all'abbazia di Redon. Verso la metà del IX sec.. l'Herbauge subì l'invasione normanna.
Quasi certamente fu in questa occasione che le reliquie di Benedetto furono portate nel monastero fondato da Sant'Acadro a Quincay nei pressi di Poitiers.
Non molti anni dopo, verso l'874, il monastero di Quincay fu distrutto dai Normanni; ma quei monaci s'erano già rifugiati altrove portando con sé le reliquie di Benedetto. Infatti verso l'876 dette reliquie furono accolte nell'abbazia di Tournus (Saône-et-Loire.
Nel 1562 tra le reliquie profanate dai calvinisti in detta abbazia viene ricordato anche il «corpus Sancti Benedicti de Quinciaco».
I monaci di Quinçay, tuttavia, tornando al loro monastero, vi avevano riportato parte delle reliquie del loro patrono. E dal sec. X tale monastero, dedicato al Salvatore, alla Vergine e a Sant'Andrea, viene designato comunemente come San Benedetto di Quincay, nome passato poi all'attuale villaggio.
Nel 1034 ad Azenay nell'Herbauge, in diocesi di Luçon, dai monaci di Quincay fu fondato e dedicato a Benedetto un priorato, nella cui chiesa furono portate alcune reliquie del Santo.
A motivo di tale scelta e per il fatto che in quel territorio veniva indicato uno speco col nome di «Grotte de Saint Benoit», si è fatta l'ipotesi che Azenay fosse il luogo della primitiva sepoltura del sacerdote Benedetto.
Il 30 dicembre 1226 Aimerico I, abate di Quincay, procedette ad una solenne traslazione delle reliquie di Benedetto, delle quali poi è andata perduta ogni traccia.
Probabilmente al sec. XI bisogna far risalire la leggenda sorta attorno alla figura di Benedetto sulla base della favolosa Vita di san Vivenzio.
Benedetto sarebbe stato vescovo di Samaria in Palestina, donde sarebbe fuggito col sacerdote Vivenzio e quaranta compagni per sottrarsi alla persecuzione di Giuliano l'Apostata. Dopo una sosta a Roma per ricevere la benedizione del Papa, si diressero verso Poitiers, dove furono benevolmente accolti da sant'Ilario.
Benedetto poi avrebbe ottenuto di condurre vita eremitica nei pressi della città, «iuxta Castellum Gravionem», dove sul suo sepolcro sant'Acadro fonderà il monastero di Quincay.
La leggenda, pur purgata dagli elementi contraddittori che conteneva, fu accolta nelle lezioni dei breviari delle diocesi di Luçon e di Poitiers, dove la festa del vescovo Benedetto viene celebrata con Ufficio proprio al 23 ottobre.
Da parte di alcuni è stata avanzata l'ipotesi, per altro gratuita, che Benedetto sia da identificare col «Benedictus» menzionato nei cataloghi episcopali di Poitiers, e che avrebbe retto la diocesi nella seconda metà del sec. VIII.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Benedetto di Poitiers, pregate per noi.

*Beata Caterina di Bosnia - Regina, Terziaria Francescana (23 ottobre)
Erzegovina, 1424 – Roma, 23 ottobre 1478
Le notizie sulla sua vita sono alquanto scarne, ma sufficienti a farci comprendere la grandezza della sua figura, prevalentemente cattolica; vissuta in uno Stato balcano minacciato continuamente dall’espansionismo musulmano.
Nata in Erzegovina nel 1424, sposò il penultimo re di Bosnia Stefano Thomas, adoperandosi per la diffusione della fede nel suo regno; chiamò i Francescani ad Jaice la capitale, per contrastare e convertire i molti eretici e scismatici bogomili, che avevano fatto della Bosnia la roccaforte della loro eresia; la quale contrapponeva il mondo dello spirito a quello della materia, considerato
espressione della forza del male; negava la Ss. Trinità, la natura umana di Cristo, ridotta a sola apparenza, l’Antico Testamento, non riconosceva i riti liturgici, la gerarchia ecclesiastica, il battesimo e il matrimonio.
Nel 1463 i Turchi capeggiati dal sultano Maometto II, occuparono la Bosnia e fra l’altro catturarono i figli di Caterina, costringendoli a farsi musulmani; la regina poi rimasta vedova nello stesso anno, si recò in esilio a Roma, dove fu accolta con onore dal papa Pio II, diventando Terziaria Francescana e vivendo santamente, godendo di stima e considerazione dai successivi pontefici Paolo II e Sisto IV.
Morì a Roma il 23 ottobre 1478 e sepolta con solenni funerali nella chiesa dell’Aracoeli; nel suo testamento dispose che lasciava alla Santa Sede il suo regno, la spada e gli speroni (evidentemente i simboli regali), con la clausola che se il figlio Sigismondo, prigioniero dei turchi, una volta liberato fosse tornato al cristianesimo, egli sarebbe dovuto diventare il re di Bosnia. L’Ordine Francescano celebra Caterina come Beata, con la ricorrenza al 23 ottobre, giorno della sua morte.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina di Bosnia, pregate per noi.

*Beato Eduardo Valverde Rodríguez - Sacerdote e martire (23 ottobre)

Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Lasalliani di Valencia" Beatificati nel 2001”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001 Senza data (Celebrazioni singole)”
“Martiri della Guerra di Spagna “
+ Benimaclet, Spagna, 23 ottobre 1936
Adra, Spagna, 18 febbraio 1878 – Almería, Spagna, 23 ottobre 1936
Eduardo Valverde Rodríguez nacque ad Adra, in provincia e diocesi di Almería, il 18 de febrero de 1878. Il 21° settembre 1901 fu ordinato sacerdote.
Era canonico della Cattedrale dell’Incarnazione di Almería quando morì in odio alla fede cattolica il 23 ottobre 1936, nel cimitero di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Eduardo Valverde Rodríguez, pregate per noi.

*Sant'Elfleda (Etelfleda) di Ramsey - Badessa  (23 ottobre)
Martirologio Romano:
A Ramsey in Inghilterra, Santa Etelfleda, che fin dall’infanzia si consacrò a Dio nel monastero fondato da suo padre Etelvoldo e, divenuta badessa, lo governò ottimamente fino ad avanzata vecchiaia.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Elfleda di Ramsey, pregate per noi.

*Beato Giovannangelo Porro - Servita (23 ottobre)

Seveso (MI), 1451 - Milano, 23 ottobre 1505
Il Beato Giovannangelo Porro nacque nel 1451 a Seveso (Milano). Si fece frate dei Servi di Maria nel 1468, dopo la morte del padre. Fu dapprima nel convento di Milano, poi a Firenze dove venne ordinato sacerdote.
Per quasi 20 anni visse in solitudine nell'eremo di Monte Senario, aperto nel 1240 dai Sette Santi fondatori.
Il priore generale lo rivolle a Milano come esempio di vita in un momento di crisi nell'osservanza del carisma.
Morì nel 1505 e riposa nella chiesa milanese dei Servi.
Nella festa vi si celebra la giornata del bambino ammalato. È beato dal 1737. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Milano, Beato Giovanni Angelo Porro, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria, che, priore del convento, tutti i giorni di festa stava fermo sulla porta della chiesa o si aggirava tra i vicoli per radunare i fanciulli e insegnare loro la dottrina cristiana.
Dopo appena sei anni dalla morte avvenuta nel 1505, il suo nome lo si trova già nel 1511 nei cataloghi dei Beati e Santi del suo Ordine, i Servi di Maria; ma nonostante ciò non ci è pervenuta nessuna narrazione della sua vita, redatta in quegli anni o contemporanea; ma le sue biografie, per secoli, si sono basate su tre brevi memorie redatte nei sec. XVI-XVII, ingrandite man mano da particolari gratuiti.
Nacque nel 1451 a Seveso nel ducato di Milano, dove la famiglia risiedeva, il padre Protasio di “Fazino”, nei documenti antichi, risulta ‘magister’ cioè maestro ma non si sa di quale arte, la madre si chiamava Franceschina di Guenzate.
Nel 1468 il padre morì lasciando la moglie e tre figli, dopo tale disgrazia Giovannangelo ventenne, decise di farsi religioso e il 20 dicembre 1470, un documento testimonia la sua presenza nel
convento dei Servi di Maria di Milano, centro della più importante e numerosa provincia dell’Ordine di quel tempo.
Lo si ritrova nel 1474 nel convento della SS. Annunziata, dove risiedé per tre anni e dove venne ordinato sacerdote.
Nel frattempo maturò in lui la vocazione alla vita eremitica e quindi dopo alterni periodi nel convento fiorentino, già nell’estate del 1477 e per quasi un ventennio Giovannagelo Porro, visse all’eremo di Monte Senario, luogo già aperto nel 1240 dai Santi Sette Fondatori dell’Ordine dei Servi e che era stato restaurato agli inizi del secolo XV.
Fu anche priore dell’eremo nel 1487-88, per passare poi, sebbene malaticcio, come priore per alcuni mesi all’eremo di S. Maria delle Grazie nel Chianti.
La sua semplicità e liberalità furono grandi e ciò è dimostrato dall’inventario dei panni del convento fiorentino, fatto nel 1474, dove il frate guardarobiere trovò da annotare solo “un paia di lenzuola strappate”; del resto come testimoniarono occasionali compagni di cella, egli preferiva dormire per terra.  Anima profondamente contemplativa, per questo poté vivere il lungo periodo di quasi 20 anni in solitudine sul Monte Senario, interrotti solo da qualche malattia.
Si era dovuto anche occupare dei novizi a Firenze, compito delicatissimo, che veniva affidato a persone di grande formazione e spiritualità.
Fra il 1495 e il 1498 per ordine del Priore Generale Andrea da Perugina, fu richiamato nella provincia lombarda, al convento di Milano, che soffriva in quel periodo di una crisi d’osservanza, e in
cui con la sua austera presenza ed esempio di vita e con il compito di priore, doveva ripristinare l’originaria spiritualità dei Servi.
A Milano purtroppo operò pochi anni, perché morì il 23 ottobre 1505 a 54 anni; fra il compianto dei confratelli.
Il suo corpo riposa nella Chiesa dei Servi di Milano e come per altri Beati dell’Ordine, si conserva ‘incorrotto’; il Beato Giovannangelo Porro ebbe subito un culto popolare, con venerazione dell’urna con il corpo nella cappella Porro, dove sin dal Cinquecento, furono portati ricordi votivi per grazie ricevute.
Nel 1679 gli fu intitolata una Confraternita a Milano, poi soppressa nel 1786 dal governo austriaco.
Il culto nella diocesi milanese è sempre costante, durante la Seconda Guerra Mondiale l’urna del Beato, fu trasferita per sicurezza nella cripta del duomo di Milano e riportata nel 1945 con solennità nella chiesa dei Servi, la basilica di San Paolo; dal 1961 in occasione della festa del 23 ottobre nella chiesa dei Servi, si celebra la “giornata del bambino ammalato”. Giovannangelo Porro fu beatificato nel 1737 da Papa Clemente XII.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovannangelo Porro, pregate per noi.

*Beato Giovanni Bono - Religioso (23 e 16 ottobre)

Mantova, 1168 - Mantova, 16 ottobre 1249
Dopo una vita spensierata si ritirò in un eremo nei pressi di Cesena, vivendo una vita di penitenza, di privazioni di preghiera e di accoglienza di persone di ogni genere. Rimanendo laico la sua vita di preghiera attirerà molti laici che seguiranno il suo stile di vita.
Il suo Istituto si propagò in diverse parti e ricevette dalla Santa Sede la Regola di Sant’Agostino. Sisto IV lo proclamò beato nel 1483.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Mantova, Beato Giovanni Bono, eremita, che, da giovane, lasciata la madre, errò per varie regioni d’Italia esercitando il mestiere di giocoliere e di attore comico, ma all’età di quarant’anni, dopo essersi gravemente ammalato, fece voto a Dio di abbandonare il mondo per donarsi interamente in penitenza e amore a Cristo e alla Chiesa e fondò una Congregazione sotto la regola di Sant’Agostino. Nacque a Mantova verso il 1168. Orfano di padre, a circa 16 anni lasciò sua madre e girovagò come attore comico per le varie regioni d'Italia; ammalatosi gravemente verso il 1209 si propose di mutare vita e fare penitenza dei suoi peccati.
Recuperata la salute, cominciò ad attuare la sua promessa, vivendo prima come solitario, vicino a Bertinoro, e dal 1210 - o poco dopo - fino al 1249 in altro luogo più appartato, chiamato Butriolo, presso Cesena. Qui ebbe subito dei seguaci, che costruirono la prima casa della futura Congregazione, ma lui continuò a vivere nel suo eremo. Consta che vi tenesse un crocifisso, un'immagine della Vergine, una pila per l’acqua benedetta e una tavola sulla quale dormiva vestito. I cardi e i rovi dei giorni di maggior penitenza venivano sostituiti, quando era ammalato, con un po' di paglia e due mantelli, uno sopra la tavola e l’altro per coprirsi.
Accanto al suo eremo fu presto edificata la chiesa di S. Maria di Butriolo, dove andava tutti i giorni per ascoltare la Messa. I testimoni del suo processo assicurano che si confessava frequentemente, che era umile, benigno e caritatevole.
Da quando cominciò ad avere seguaci, cominciarono anche le visite delle persone attratte dalle sue conversazioni spirituali. Questo spiega il frutto dei suoi discorsi con persone di ogni ceto, sebbene, oltre ad essere laico, fosse un analfabeta. Si limitava ad ascoltare la Messa e l’Ufficio divino, e sfogava a parte il suo fervore con il Padre nostro, l’Ave Maria, il Credo, il Miserere e qualche altro salmo che sapeva a memoria. Il suo patrimonio spirituale si riduceva all'educazione cristiana ricevuta nella casa paterna, ai discorsi ascoltati dopo la sua conversione e al ricordo dei testi della Sacra Scrittura, che ripeteva nelle sue conversazioni. Questo piccolo capitale di dottrina si arricchì con l'esercizio delle virtù cristiane e l’intimità con Dio.
Il suo Istituto si propagò in diverse parti, ma, non avendo alcuna delle Regole approvate, i suoi fecero ricorso a Roma, ottenendo che fosse data loro la Regola di Sant' Agostino. Quando contava ormai una settantina d'anni, volle porre in mani più forti la direzione delle sue comunità.
Poté così dedicarsi maggiormente, negli ultimi dieci anni, alla contemplazione. Ai primi di ottobre del 1249 cominciò con alcuni discepoli il viaggio verso Mantova. Qui giunto tale si ritirò nell'eremo di Sant'Agnese in Porto, dove morì il 16 delle stesso mese.
Sisto IV nel 1483 lo dichiarò Beato. La sua memoria liturgica ricorre il 23 ottobre insieme a quella di San Guglielmo, eremita.
(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Nasce al tempo in cui la sua città entra far parte della Lega Lombarda contro Federico Barbarossa, che sarà poi sconfitto a Legnano nel 1176. Pare che i suoi genitori si chiamino Giovanni e Bona, e che dai loro nomi sia poi derivato il suo.
Ma la vita in famiglia è assai breve: da bambino ha perduto il padre, e sui 16 anni abbandona la madre e la casa, andando a vivere per conto suo. Ha trascorso la gioventù battendo città e campagne d’Italia come attore comico, giullare. Un mestiere che allora produceva qualche personaggio famoso e parecchi morti di fame.
Tra i cristiani, poi, c’era ancora chi considerava dannati senza rimedio attori e giullari, forse sul lontano ricordo di quando, in epoca pagana, la figura del cristiano veniva schernita negli spettacoli.
Verso i 40 anni, Giovanni si ammala e attribuisce la sofferenza al genere di vita che conduce. Guarito, diventa un altro: lui, che non poteva vivere senza gente intorno, va in cerca di solitudine, isolandosi dapprima nei pressi di Bertinoro, in Romagna, e più tardi a Butriolo, vicino a Cesena.
Solitudine e preghiera al modo degli antichi Padri del deserto; e, al posto di risate e applausi, il silenzio. Ma c’è pure gente che passa di lì, scambiando con lui qualche parola; c’è chi osserva il suo modo di vivere, chi decide di condividerlo. Giovanni Bono è un analfabeta che “sa parlare”, perché prima si era inventato un suo linguaggio sgrammaticato e spinto.
Ora, invece, si ascoltano da lui discorsi di tutt’altro genere in una lingua nuova, che lui ha imparato dalle parole della Messa, dai salmi, dai confessorie predicatori.
E poi si vedono i suoi digiuni: così lunghi e aspri, che molti dicono: "Se rimane senza mangiare per tanto tempo, vuol dire che lo nutrono lo Spirito Santo e la grazia di Dio". Questo “Zambono”,
come lo chiamano, riguadagna i fedeli con l’esempio della sua vita povera, che toglie argomenti a chi accusa di avidità la gente di Chiesa.
Alcuni volontari si fermano a vivere con lui e come lui; e così nasce, nel giro di alcuni anni, una comunità, autorizzata dal vescovo di Cesena.
Nel 1231 Giovanni consegna la regola di sant’Agostino ai primi compagni e poi alle comunità che nascono via via in Emilia, Romagna e Lombardia: saranno in tutto 26,formanti l’Ordine degli eremiti che ha per capo l’ex giullare analfabeta. Verso il 1238, settantenne, lascia la guida dell’Ordine, entrando nella terza fase della sua vita: quella del silenzio.
Infine, ecco il richiamo della terra che ha abbandonato in gioventù: Mantova. Verso la città nativa si avvia con alcuni compagni nell’ottobre del 1249, e fa in tempo a raggiungere l’eremo di Sant’Anna in Porto, dove muore il giorno16. E qui, dopo la morte, le voci di miracoli fanno accorrere fedeli a migliaia: agli uomini della povertà radicale e del silenzio, la gente accorda d’istinto ammirazione e fiducia, li sente contemporaneamente vicini a sé e a Dio, e dunque capaci di prodigi per il bene sempre di qualcuno. L’eremo di Sant’Agnese, dove è stato seppellito, vede arrivare folle di pellegrini, con infiniti racconti di miracoli da lui compiuti; di guarigioni, soprattutto.
La causa di beatificazione ha inizio già nel 1251 per ordine di Papa Innocenzo IV, poi si interrompe alla sua morte. Sarà Sisto IV a proclamarlo Beato, nel 1483. I suoi resti sono custoditi in Mantova, nella chiesa cittadina di Sant’Agnese.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanno Bono, pregate per noi.

*San Giovanni da Capestrano - Sacerdote (23 ottobre)

Capestrano, L'Aquila, 1386 - Tarvisio, Villach, Austria, 23 ottobre 1456
Era nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese.
Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di Durazzo lo fece governatore di quella città.
Ma caduto prigioniero dei Malaspina, decise di farsi francescano, diventando amico di San Bernardino e difendendolo quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, venne accusato d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re.
Il Papa lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con Roma.
Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi. Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giovanni moriva a Villaco, in Schiavonia, oggi in Austria (Villach). (Avvenire)
Patronato: Giuristi
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: San Giovanni da Capestrano, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che difese l’osservanza della regola e svolse il suo ministero per quasi tutta l’Europa a sostegno della fede e della morale cattolica. Con il fervore delle sue esortazioni e delle sue preghiere incoraggiò il popolo dei fedeli e si impegnò nella difesa della libertà dei cristiani. Morì presso Ujlak sulla riva del Danubio nel regno di Ungheria.
Dalla data tradizionale del 28 marzo, il nuovo Calendario della Chiesa ha riportato al 23 ottobre, data effettiva della sua morte, la memoria facoltativa di San Giovanni da Capestrano, uno dei due
Santi che, nelle opere d'arte del '400, vengono rappresentati con lo stemma di Cristo Re.
Il primo è San Bernardino da Siena, che mostra lo stemma raggiante sulla tipica tavoletta di legno, da lui alzata su tutte le piazze come simbolo di libertà e pegno di pace.
Il secondo è San Giovanni da Capestrano, che sventola invece quel luminoso stemma sopra una bandiera spiegata, garrente nell'aria di una ideale battaglia.
Era nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre abruzzese, e il biondo incrocio tra il cavaliere tedesco e la fanciulla abruzzese veniva chiamato "Giantudesco".
"I miei capelli, i quali sembravano fili d'oro - ricorderà da vecchio io li portavo lunghi, secondo la moda dei mio paese, sicché mi facevano una bella danza".
Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di Durazzo lo fece governatore di quella città.
Ma da Perugia si vedeva, sul fianco del Subasio, la rosea nuvola di Assisi, e Giantudesco, caduto prigioniero dei Malaspina, meditò in carcere sulla vanità del mondo, come aveva già fatto il giovane San Francesco.
Non volle perciò tornare alla vita mondana e uscito di carcere si fece legare dalla corda francescana, entrando nell'Ordine, dove San Bernardino propugnava, nel nome di Gesù, la riforma della cosiddetta "osservanza".
Giantudesco entrò in intimità col Santo riformatore.
Lo difese apertamente e valorosamente quando, a causa della devozione del Nome di Gesù, il Santo senese venne accusato d'eresia.
Anch'egli così prese come emblema il monogramma bernardiniano di Cristo Re e lo portò nelle sue dure battaglie contro gli eretici e contro gl'infedeli.
Il Papa lo nominò Inquisitore dei Fraticelli; lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove
si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con Roma.
Ovunque c'era da incitare, da guidare e da combattere, Giantudesco alzava la sua bandiera fregiata dal raggiante stemma di Gesù o addirittura una pesante croce di legno, che ancora si conserva all'Aquila, e si gettava nella mischia, con teutonica fermezza e con italico ardore.
Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai Turchi.
Entrò nelle schiere dei combattenti, dove era più incerta la sorte delle armi, incitando i cristiani ad avere fede nel nome di Gesù. "Sia avanzando che retrocedendo - gridava, sia colpendo che colpiti, invocate il Nome di Gesù.
In Lui solo è salute!".
Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma questa doveva essere la sua ultima fatica di combattente.
Tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giantudesco moriva a Villaco, nella Schiavonia, consegnando ai suoi fedeli la Croce, emblema di Cristo Re, che egli aveva servito, fino allo stremo delle sue forze.
(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - San Giovanni da Capestrano, pregate per noi.

*San Giovanni di Siracusa - Vescovo (23 ottobre)

Martirologio Romano: A Siracusa, San Giovanni, vescovo, di cui il Papa San Gregorio Magnò lodò la condotta morale, il senso di giustizia, la saggezza, il provvido consiglio e la dedizione agli impegni della Chiesa.
Arcidiacono della Chiesa catanese, nel febbraio 593 fu designato alla sede di Siracusa da san Gregorio Magno, ansioso di dare un degno successore a San Massimiano, ch’era stato suo precettore nella vita monastica e successivamente suo vicario in Sicilia. Nell’ottobre dello stesso anno il pontefice concesse a Giovanni l’uso del pallio, che tuttavia in quel tempo non era ancora privilegio dei metropoliti, e scrisse al suo rettore, Cipriano, affinché con amabili maniere inducesse Leone, vescovo di Catania, a cedere a Giovanni un sacerdote, che gli fosse di sollievo e di aiuto nel governo della sua Chiesa.
Giovanni fu veramente emulo di san Massimiano e San Gregorio intrattenne con lui rapporti affettuosi, di cui sono testimonianza le moltissime lettere che gli indirizzò.
Alcuni in Sicilia, a proposito di certe usanze introdotte nella riforma liturgica promossa da san Gregorio e credute novità, mormoravano contro di lui quasi volesse abbandonare le tradizioni romane per seguire quelle greche. Il santo pontefice non disdegnò di giustificarsi e incaricò
Giovanni di spiegare, a Catania o a Siracusa, dove alternativamente ogni anno si teneva il concilio dell’isola, che le asserite novità altro non erano die antichi riti ripristinati, astraendo dalle consuetudini dei greci.
Per effetto della fervida opera di san Gregorio, alla Sicilia, come nota il Pace, «né prima né poi toccò tanta partecipazione ai negozi della Chiesa universale cui, in meno di cento anni [fra il VII e l’VIII secolo] diede cinque pontefici». San Gregorio prescelse Giovanni per molteplici incarichi in cui rifulse per prudenza, equità e dottrina. Gli affidò di reggere il patrimonio della Chiesa romana, nella provincia siracusana, che abbracciava allora metà della Sicilia, tagliata trasversalmente dal corso dei due fiumi Imera: l’uno che sboccava nel Tirreno preso l’attuale Termini Imerese, l’altro, corrispondente al Salso, che sfocia nel Mediterraneo presso Licata.
A lui e all’ex console Leonzio, pretore dell’isola, rimise per la decisione una lite tra Domenziano, metropolita dell’Armenia, tutore dei figli dell’imperatore Maurizio, e Decio, vescovo di Lilibeo «perché sono sicuro della santità e sollecitudine di Giovanni, e quando egli giudica, né alcuno può essere ingannato, né la Chiesa aver pregiudizio». Furono parimenti affidati al vescovo di Siracusa i casi delicati di Cremenzio, primate dell’Africa Bizacena e di Lucilio, vescovo di Malta. L’espletamento di affari di tanta fiducia e le lodi uscite dalla penna di un tanto uomo, qual era san Gregorio, il quale arriva a scrivere: «postquam fratrem Ioannem vidistis, in eo et nos vidisse credimus» mostrano bene qual dovesse essere il nostro santo.
Si spiega quindi come il biografo di san Zosimo, che fu anch’egli vescovo di Siracusa, narrando dei lume profetico col quale Giovanni scelse l’ostiario Zosimo ad abate del monastero di santa Lucia, dica che egli «era uomo venerando per la sua santità, singolare per la sua virtù, in grandissima fama per il dono delle profezie e celebrato con ogni elogio».
Secondo il Pirro, Giovanni si addormentò nel Signore circa il 609. La Chiesa siracusana lo ricorda il 23 ottobre. Una bolla plumbea di Giovanni venne riconosciuta da E. Stevenson nel Museo del camposanto teutonico in Roma, scritta in più righe da ambo i lati.
(Autore: Ottavio Garan - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni di Siracusa, pregate per noi.

*Santi Giovanni e Giacomo - Martiri in Persia (23 ottobre)

Martirologio Romano:
In Persia, Santi martiri Giovanni, vescovo, e Giacomo, sacerdote, che sotto il re Sabor II furono gettati in carcere e dopo un anno terminarono, trafitti con la spada, il loro glorioso combattimento.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Giovanni e Giacomo, pregate per noi.

*San Graziano di Amiens - Martire (23 ottobre)

Un manoscritto del Martirologio Geronimiano del IX sec., in uso nell'abbazia di Corbie (dioc. di Amiens), segnala al 23 ottobre: «In Gallia depositio Gratiani martyris».
Il culto che fu reso a questo santo nella diocesi di Amiens, e che è ben attestato nel sec. XI, fa pensare si tratti di un santo locale, il cui supplizio avvenne, forse, nel villaggio di Saint-Gratien, a undici Km. da Amiens.
É impossibile dire con certezza in quale epoca egli sia vissuto. Un Breviario di Amiens del sec. XVIII ne colloca la morte 'sub Rictio Varo': notizia che si può a proprio piacere accettare o respingere se si nota che molti martiri della Gallia Belgica prima e seconda figurano nel Martirologio con la stessa menzione e sono raggruppati nello stesso periodo dell'anno (fine settembre - fine ottobre). Se questa indicazione fosse vera, Graziano sarebbe perito fra il 285 e il 287. Le sue reliquie passarono alla fine del sec. XI nel monastero di Coulombs, nella diocesi di Chartres: durante la Rivoluzione furono messe in salvo nel palazzo arcivescovile di Parigi, donde scomparvero nel 1830.
Al culto del santo si riallaccia un curioso episodio che, nel XII sec., il 23 ottobre, giorno della sua festa, si verificava sul luogo del supplizio.
Qui sorgeva un noce, che si diceva essere nato dal vecchio bastone di viaggio di G. e che ogni anno, nella notte del 23 ottobre, si copriva miracolosamente di foglie e di frutti completamente maturi.
Una folla di pellegrini andava ad assistere al miracolo e, per essere più sicura del carattere prodigioso del fatto, spogliava prima l'albero della sua precedente vegetazione.
I frutti miracolosi erano poi mangiati con devozione. Su questo curioso fenomeno si possiede una lettera di un vescovo di Amiens del 1115 e un sermone del 1117, in cui gli autori si dicono testi oculari. Disgraziatamente oggi non vi è più traccia del noce.
Nell'abbazia di Noyers (Tours) era assai venerato un San Graziano che, secondo una tardiva leggenda inserita in un Breviario di Noyers del sec. XIII, sarebbe stato un vescovo brettone ucciso dai pagani mentre si recava in pellegrinaggio a Roma.
Con ogni probabilità si tratta del nostro Graziano venerato ad Amiens, qualche reliquia del quale, in epoca incerta, fu portata a Noyers, dando origine col tempo ad uno sdoppiamento di persona.
(Autore: Henri Platelle – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Graziano di Amiens, pregate per noi.

*San Graziano di Tolone - Vescovo (23 ottobre)

† 472 (?)
San Graziano è il terzo (?) vescovo di Tolone.
Nella cronotassi dei vescovi è stato inserito dopo Augustale e Onorato e prima di San Cipriano.
Sulla sua esistenza purtroppo non esiste alcun documento.
Una tradizione inserita nel testo seicentesco “De initiis Ecclesiae Forojuliensis” se ne fa un vescovo martirizzato nel 473, dal principe ariano Evarico. Ma su quest’affermazione non vi è alcuna attestazione storica.
Anche se nel testo “Gallia Cristiana” è indicato come secondo vescovo di Tolone, sulla scorta di tutte le altre liste antiche, attualmente è inserito al terzo posto.
E’ asserzione contemporanea presupporre che sia morto intorno al 472.
La sua festa a Tolone ne fa memoria il 23 ottobre.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Graziano di Tolone, pregate per noi.

*Sant'Ignazio - Patriarca di Costantinopoli (23 ottobre)

Martirologio Romano: A Costantinopoli, Sant’Ignazio, vescovo, che, reso oggetto di molti oltraggi da parte dell’imperatore Barda, al quale aveva rimproverato di aver ripudiato la moglie, fu mandato in esilio, ma, richiamato dal Papa San Nicola I, riposò infine in pace.
Ignazio, il cui nome di battesimo era Niceta, discendeva da famiglia nobile: figlio minore dell'imperatore d'Oriente Michele I, era anche, da parte di madre, nipote di un altro imperatore, Niceforo I.
Quando il padre fu deposto (813), egli e suo fratello vennero mutilati e rinchiusi in un convento: Niceta si fece monaco e prese il nome di Ignazio.
Eletto poi abate del suo monastero, nell'846 divenne patriarca di Costantinopoli. Uomo pio ma di temperamento piuttosto tirannico, mise uno zelo nella riforma della Chiesa e nella disputa sul culto delle immagini che gli creò molti nemici e lo costrinse a una vita sempre piena di conflitti.
Nell'848 egli depose un arcivescovo sgradito (Gregorio Asbestas di Siracusa), ma non riuscì a ottenere in questo il necessario appoggio di Roma e anzi scoprì anche che si stava formando a corte un partito anti-ignaziano.
I rapporti con i vertici dello stato si rovinarono progressivamente finché, nell'857, Ignazio rifiutò pubblicamente la comunione al reggente Bardas, zio del sedicenne imperatore Michele III, colpevole di incesto.
Bardas persuase l'imperatore a far allontanare Ignazio: furono inventate accuse contro il patriarca ed egli fu deposto ed esiliato.
Forse fu il vescovo stesso a dimettersi e, sebbene i dettagli della vicenda non siano del tutto chiari, potrebbe anche essere stata nelle intenzioni una misura temporanea, ma in ogni caso ciò fu sufficiente a Bardas per sostituire Ignazio con il suo segretario Fozio. Il nuovo patriarca, facendosi consacrare da Gregorio di Siracusa, si mise subito in aperto contrasto con Ignazio e si aprì un'epoca di dure lotte.
Fozio era per molti versi un candidato ideale, assai istruito, religioso e molto capace come amministratore, ma ebbe la colpa di lasciarsi manovrare dalla fazione di corte, desiderosa non solo di vendicarsi di Ignazio, ma ancor più di confermare la propria autorità sulla Chiesa, indebolendo, in particolare, la posizione dei rigoristi che volevano una Chiesa totalmente indipendente dallo Stato.
Dal contrasto tra Fozio e Ignazio nacque il cosiddetto scisma foziano tra Costantinopoli e Roma (tradizionalmente considerato in Occidente come un tentativo del patriarca di ottenere l'indipendenza completa dal papa, è storicamente più spiegabile come una lotta di potere all'interno della Chiesa stessa d'Oriente).
Entrambe le parti si appellarono a papa Niccolò I che incaricò alcuni suoi inviati di investigare sull'intera faccenda; essi tuttavia, oltrepassando i limiti del mandato, presero parte a un sinodo a Costantinopoli che condannò e depose Ignazio.
Da Roma il papa dichiarò nulla la sentenza e, convocato un concilio romano nell'863, reintegrò nel patriarcato Ignazio e depose Fozio e tutti quelli nominati da lui.
Un esito effettivo di tale decreto non si vide e anzi sorse un ulteriore motivo di contesa, quando dei predicatori latini furono mandati in Bulgaria: i nuovi battezzati sarebbero stati sotto l'obbedienza del papa, da cui dipendevano i missionari, o del patriarca, che storicamente aveva la responsabilità di quelle terre? L'atmosfera era incandescente e nell'867 un concilio a Costantinopoli depose e scomunicò il Papa.
Ma ecco nuovi repentini sconvolgimenti alle porte: Basilio il Macedone, dopo essere salito al trono assassinando Michele III, reintegrò Ignazio al posto di Fozio e infine, almeno per quanto ci riguarda, il IV concilio di Costantinopoli (869-870, ottavo concilio ecumenico della Chiesa) scomunicò Fozio, ripristinando ufficialmente Ignazio come patriarca.
Ripresi i propri compiti con invariato zelo ed energia, anche se non sempre con prudenza, Ignazio incoraggiò il principe Boris di Bulgaria a espellere sacerdoti e vescovi latini dai propri territori e
sostituirli con greci inviati da lui stesso; nell'870 consacrò un arcivescovo e dei vescovi per le sedi bulgare e papa Giovanni VIII lo minacciò di scomunica.
Nell'877 giunsero nella città imperiale i delegati papali con un ultimatum, ma scoprirono che Ignazio era già morto, il 23 ottobre, nel monastero dei Santi Arcangeli costruito dal patriarca stesso. Gli succedette allora Fozio, e proprio lui, che ne era stato tanto nemico, lo canonizzò, mentre un altro concilio di Costantinopoli, tenutosi nell'879-880 e al quale parteciparono anche delegati papali, revocava, a quanto sembra, la sentenza del precedente.
L'indubbia santità personale di Ignazio, il suo coraggio nel rimproverare l'immoralità nelle alte sfere e la sua pazienza durante la persecuzione sono le qualità che fanno di lui un Santo.
Nella Chiesa d'Oriente è venerato insieme a Fozio, sebbene i due uomini siano stati in vita grandi avversari su importanti questioni di principio.
Resoconti precedenti che consideravano questa opposizione come una semplice risonanza di controversie tra Oriente e Occidente non sono a tutt'oggi da ritenersi più validi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ignazio, pregate per noi.

*Beati Ildefonso Garcia, Giustino Cuesta e Compagni - Martiri (23 ottobre)
Scheda del Gruppo a cui appartengono:

“Beati Martiri Spagnoli Passionisti di Daimiel” Beatificati nel 1989 (Senza Data - Celebrazioni singole)
Martirologio Romano: A Ciudad Real in Spagna, Beati martiri Ildefonso García e Giustiniano Cuesta, sacerdoti ed Eufrasio de Celis, Onorino Carracedo, Tommaso Cuartero e Giuseppe Maria Cuartero, religiosi, della Congregazione della Passione, che, durante la persecuzione contro la religione, furono fucilati per Cristo e per la Chiesa.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Ildefonso Garcia, Giustino Cuesta e Compagn, pregate per noi.

*Beato José María Fernández Sánchez - Sacerdote Vincenziano, Martire (23 ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Vincenziani" (Giuseppe Maria Fernández Sánchez e 38 compagni) Beatificati nel 2017 - 6 novembre
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna - Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Oviedo, Spagna, 15 ottobre 1875 – Vallecas, Spagna, 23 ottobre 1936
José María Fernández Sánchez, nativo di Oviedo, fu allievo del Seminario diocesano della sua città, ma al quarto anno degli studi teologici chiese di essere ammesso nella Congregazione della Missione. Professò i voti a Madrid il 26 aprile 1897 e fu ordinato sacerdote nella stessa città il 18 ottobre 1898. Dopo alcuni incarichi come professore, venne inviato missionario in India, poi insegnò Teologia Pastorale nel Seminario di Oviedo.
In qualità di sotto-direttore della Provincia Spagnola delle Figlie della Carità, fu da esse stimato come un santo già in vita. Il 25 luglio 1936, poco dopo l’inizio della guerra civile spagnola, fu arrestato. Insieme ai confratelli padre Roque Guillén Garcés e ai fratelli coadiutori Cesáreo Elexgaray Otazua, Cristóbal González Carcero, Juan Nuñez Orcajo e Agustín Nogal Tobar, venne fucilato presso il cimitero di Vallecas il 23 ottobre 1936. Messo a capo di un gruppo di 39 martiri appartenenti a vario titolo alla Famiglia Vincenziana, è stato beatificato insieme ai suoi compagni di martirio l’11 novembre 2017.
José María Fernández Sánchez nacque a Oviedo, in Spagna, il 15 ottobre 1875, figlio di José e Manuela. Fu battezzato nella parrocchia di Sant’Isidoro “el Real” il giorno dopo la nascita.
Entrò nel Seminario diocesano di Oviedo, ma a vent’anni, mentre frequentava il quarto anno degli studi teologici, domandò di essere ammesso nella Congregazione della Missione, fondata da san Vincenzo De’ Paoli.
Completò i suoi studi presso il Collegio Leonino di Roma, conseguendo il dottorato in Sacra Teologia. Professò i voti a Madrid il 26 aprile 1897 e fu ordinato sacerdote nella stessa città il 18 ottobre
1898. Fu quindi destinato come professore a Hortaleza, Madrid e Guadalajara.
Nel 1921, Propaganda Fide incaricò i padri Vincenziani della missione di Cuttack in India, parte della diocesi di Vizagapatán e della provincia religiosa dell’Orissa. Quattro anni dopo, quella missione contava già tre comunità, delle quali padre José María fu nominato vicevisitatore.
Tornato in patria, dal 1927 al 1930 occupò la cattedra di Teologia Pastorale nel Seminario di Oviedo. Subito dopo, venne nominato sotto-direttore della Provincia spagnola delle Figlie della Carità, il ramo femminile fondato da san Vincenzo e da santa Luisa de Marillac.
Tra le suore godette di fama di santità già in vita, grazie alle sue conferenze profonde e istruttive sullo spirito della loro vocazione, che furono pubblicate a beneficio delle future generazioni di Figlie della Carità.
Sabato 25 luglio 1936, pochi giorni dopo l’inizio della guerra civile spagnola, la comunità detta “Casa dei Cappellani” poiché ospitava proprio i cappellani delle Figlie della Carità fu presa d’assalto da alcuni miliziani. Padre José María fu catturato insieme a padre Roque Guillén Garcés e ai fratelli coadiutori Cesáreo Elexgaray Otazua e Cristóbal González Carcero.
Furono sottoposti a torture pesantissime, compreso lo stare in piedi per una notte intera, allo scopo di estorcere loro informazioni utili alla persecuzione contro la Chiesa. Passarono di prigione in prigione, costantemente posti sotto minacce di morte.
Il 28 agosto 1936, padre José María riuscì a parlare con la Visitatrice, ossia la Superiora provinciale, suor Justa Domínguez de Vidaurreta: «Ho sofferto molto al sapere le angustie che state passando; oggi che partecipo a esse, mi trovo felice e rendo grazie a Dio. Non rattristiamoci perché ci vediamo in prigione: il nostro Santo Padre [San Vincenzo, ndr] la patì per due anni e non gli pesò mai. Rallegriamoci per il bene spirituale che questo stato ci apporta».
Il 23 ottobre 1936, padre José María, i due sacerdoti e i due fratelli coadiutori, cui furono aggiunti i fratelli Juan Nuñez Orcajo e Agustín Nogal Tobar, furono fucilati presso il cimitero di Vallecas.
Inseriti nel più ampio gruppo composto in tutto da 39 sacerdoti, fratelli coadiutori e laici vincenziani, capeggiati proprio da padre José María Fernández Sánchez, sono stati beatificati a Madrid l’11 novembre 2017. Nella stessa celebrazione sono stati elevati agli onori degli altari altri 21 martiri appartenenti, a vario titolo, alla Famiglia Vincenziana.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato José María Fernández Sánchez, pregate per noi.

*Beato Leonardo Olivera Buera - Sacerdote e Martire (23 ottobre)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Campo, Spagna, 6 marzo 1889 – El Saler, Spagna, 23 ottobre 1936
Padre Leonardo Olivera Buera nacque a Campo, nei pressi di Huesca in Spagna, il 6 marzo 1889. Divenuto sacerdote della diocesi di Zagaroza, fu cappellano della Scuola Nostra Signora del Carmelo a Bonanova.
La scuola era gestita dai lasalliani e, allo scoppio della Guerra Civile Spagnola, Padre Leonardo andò coraggiosamente incontro al martirio insieme con questi religiosi.
Fu ucciso ad El Saler, nei pressi di Valencia, il 23 ottobre 1936.
Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’11 marzo 2001 con altre 232 vittime della medesima persecuzione.
Martirologio Romano: In località detta El Saler vicino a Valencia sempre in Spagna, Beato Leonardo Olivera Buera, sacerdote e martire, che, durante la stessa persecuzione contro la religione, imitando la passione di Cristo, meritò di conseguire il premio eterno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Leonardo Olivera Buera, pregate per noi.

*Beato Manuel Navarro Martínez - Sacerdote e Martire (23 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Rioja, Spagna, 3 luglio 1879 – Almería, Spagna, 23 ottobre 1936
Manuel Navarro Martínez nacque a Rioja, in provincia e diocesi di Almería, il 3 luglio 1879. Il 12 ottobre 1904 fu ordinato sacerdote.
Era parroco della parrocchia di San Pietro Apostolo di Almería quando morì in odio alla fede cattolica il 23 ottobre 1936, nel cimitero di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Manuel Navarro Martínez, pregate per noi.

*Beate Maria Clotilde Angela di San Francesco Borgia (Clotilde Giuseppa) Paillot e 5 Compagne - Martiri (23 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beate Martiri Orsoline di Valenciennes”

+ Valenciennes, Francia, 23 ottobre 1794

Martirologio Romano:
A Valencienne in Francia, Beate Maria Clotilde Angela di San Francesco Borgia (Clotilde Giuseppa) Paillot e cinque compagne, vergini e martiri, che, consacrate a Dio e condannate a morte in odio alla fede durante la rivoluzione francese, salirono piamente al patibolo sotto lo sguardo ammirato del popolo.
(Fonte Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Maria Clotilde Angela di San Francesco Borgia Paillot e 5 Compagne, pregate per noi.

*Beata Maria Giuseppina (Anna Giuseppa) Leroux - Orsolina, Martire (23 ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beate Maria Clotilde Angela di San Francesco Borgia (Clotilde Giuseppa) Paillot e 5 compagne” - Martiri
“Beate Martiri Orsoline di Valenciennes”

Cambrai, Francia, 23 gennaio 1747 – Valenciennes, Francia, 23 ottobre 1794
Anne-Joseph Leroux nacque a Cambrai, nel nord della Francia, il 23 gennaio 1747.
All’età di 22 anni lasciò la casa paterna ed entrò tra le monache Clarisse di Nuns, assumendo il nome di Suor Maria Giuseppina.
Costretta a lasciare la clausura a causa delle leggi eversive emanate durante la Rivoluzione nella sua patria, si ritirò tra le Orsoline della stessa città, raggiungendo così sua sorella Suor Maria
Scolastica di San Giacomo (al secolo Marie-Marguerite-Joseph Leroux).
Ma ben presto anche le religiose di quel convento furono estromesse e condannate alla ghigliottina.
Le due sorelle, insieme con Suor Maria Clotilde Paillot, Suor Maria Francesca Lacroix, Suor Anna Maria Erraux e Suor Maria Cordula Barré, andarono dunque incontro a Cristo nel martirio il 23 ottobre 1794 presso Valenciennes.
Insieme a queste ed altre consorelle, Suor Maria Giuseppina Leroux è stata beatificata il 13 giugno 1920.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Giuseppina Leroux, pregate per noi.

*San Paolo Tong Viet Buong - Martire (23 ottobre)

Martirologio Romano:
Nella città di Thọ-Đức in Annamia, ora Viet Nam, Santi Paolo Tống Viết Buờng, martire, che, soldato, morì per Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolo Tong Viet Buong, pregate per noi.

*San Romano di Rouen - Vescovo (23 ottobre)

Martirologio Romano:
A Rouen in Neustria, ora in Francia, San Romano, vescovo, che abbattè dalle fondamenta i templi dei pagani ancora molto frequentati nella città, incoraggiò i buoni a progredire nel bene e cercò di dissuadere i malvagi dal compiere il male.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Romano di Rouen, pregate per noi.

*Santi Servando e Germano - Martiri (23 ottobre)
Martirologio Romano:
Vicino a Cádice nell’Andalusia in Spagna, Santi Servando e Germano, martiri durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Servando e Germano, pregate per noi.

*San Severino di Colonia - Vescovo (23 ottobre)
Martirologio Romano:
A Colonia in Germania, commemorazione di San Severo, vescovo, degno di lode in ogni virtù.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Severino di Colonia, pregate per noi.

*San Severino Manlio Boezio - Filosofo e Martire (23 ottobre)

Sec. VI
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio per tutti rappresenta spesso solo un paragrafo del manuale di storia della filosofia. Dagli studiosi è visto come il filosofo che sintetizzò il pensiero classico e la cultura cristiana, lasciando l'unica eredità filosofica di rilievo della seconda metà del primo
millennio. Boezio nasce a Roma, attorno al 475 da un patrizio della gens Anicia che fu console sotto Odoacre. È senatore a 25 anni e console unico nel 510.
Sposa Rusticiana divenendo genero dell'imperatore Simmaco e cognato delle sante Proba e Galla; ebbe due figli che diventeranno consoli nel 522. Collaborò con Teodorico contribuendo a diffondere fra i Goti il pensiero romano e la fede cristiana. La sua integrità lo oppose però a Teodorico stesso che lo condannò ingiustamente. Esiliato a Pavia, fu chiuso da Eusebio, prefetto di quella città, nel battistero della vecchia cattedrale in Agro Calventiano e lì ucciso nel 524. L'opera più famosa di Boezio è quella da lui scritta in carcere nel 523-524: il «De consolatione philosophiae», scritto ben conosciuto, oltre che da Dante, anche dai letterati e dagli umanisti rinascimentali. (Avvenire)
Etimologia: Manlio significa “Mattino” dal latino Mànius.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Pavia, commemorazione di san Severino Boezio, martire, che, illustre per la sua cultura e i suoi scritti, mentre era rinchiuso in carcere scrisse un trattato sulla consolazione della filosofia e servì con integrità Dio fino alla morte inflittagli dal re Teodorico.
È cosa ovvia affermare che "tutti gli uomini desiderano sapere" (Aristotele) e che l'oggetto di questa incessante ricerca è la verità: sul mondo (Cosmologia), su Dio (Teologia) su se stessi (Antropologia). Se ogni uomo può essere considerato cercatore della verità, alcuni personaggi della storia assurgono anche a martiri per la verità. Tra questi ricordiamo Severino Boezio. Dante lo chiamava "anima santa" e lo considerava la cerniera tra la cultura romana e la nascente Scolastica. Fu un filosofo dallo straordinario influsso per molti secoli.
La persona è…
Severino Boezio è nato a Roma nel 480 in una famiglia aristocratica. A trent'anni era già un uomo famoso. Si sposò ed ebbe due figli.
Nel 497 l'Italia veniva invasa dagli Ostrogoti di Teodorico. Questi riusciva in un primo tempo a creare un certo equilibrio tra il suo popolo e i Romani. Boezio era tra i Romani colti del tempo che speravano in una progressiva romanizzazione dei "barbari" Goti. Con questa motivazione culturale e civile, cominciò a tradurre i classici (Aristotele, Platone, Porfirio… ecc.), traduzioni che gli diedero una grande notorietà nel Medio Evo. Scrisse inoltre trattati di logica, matematica, musica e teologia. Lo scritto però più rilevante che lo farà famoso sarà il De Consolatione Philosophiae, scritto da condannato a morte. Ma cos'era capitato?
Nel 522 due figli di Boezio erano stati nominati consoli. Qualche tempo dopo però, dovette scontrarsi con alcuni funzionari corrotti: questi per vendetta lo accusarono, ingiustamente, di tradimento. L'imperatore Teodorico (ariano e anticattolico), senza neppure ascoltarlo, lo condannò. Morirà in esilio a Pavia nel 526. Severino moriva ma la sua opera rimase nei secoli. Per esempio: la sua famosa definizione di persona. Eccola: la persona è "una sostanza individuale di natura razionale". In essa si mette in rilievo sia la sostanzialità e l'individualità della persona e quindi il suo essere-in-sé, sia la sua autonomia e razionalità. "La 'persona' vi appare come l'essere di frontiera, che tiene insieme i due mondi, e perciò come la categoria che può essere applicata agli uomini, agli angeli e a Dio, senza escludere una solidarietà col piano degli esseri di altra natura, pur mantenendo la sua irriducibile singolarità" (B. Forte).
Consolato… da Signora Filosofia
L'occasione per scrivere "La Consolazione della Filosofia" fu la sua condanna a morte. Boezio riprende un genere letterario diffuso nell'antichità e cioè ricorrere a un po' di "consolazione filosofica" per affrontare le difficoltà esistenziali. Due 'Signore' lo consolano: Filosofia e Fortuna. Sarà specialmente la prima, nelle sembianze di una maestosa dama, a interrogare, a far ragionare, a consolare il prigioniero. A Boezio che si lamenta per l'esilio ingiusto che subisce Signora Filosofia risponde: "Condannato all'esilio? Nessuno può dirsi in esilio quando è con se stesso. Non mi impressiona l'aspetto del luogo in cui ti trovo, ma lo stato del tuo spirito". Ed un rimprovero: "Invece di misurare quello che hai perduto, perché non consideri quello che ti è rimasto? Perché non confronti la tua vita con quella degli altri?... La ricchezza, le cariche, la fama... sono poi i veri beni?".
Ma che cos'è la felicità?
Ancora Filosofia: "... Ma che cos'è la felicità?". Boezio: "Io direi che la felicità consiste in un bene, posseduto il quale, non se ne desiderano altri". Ma lei gli rinfaccia che non è una definizione completa: mancano certezza e durata. Poi Filosofia dà la definizione: "La Felicità consiste
nell'avere tutte queste cose e altre insieme a queste, senza la possibilità di perderle con la certezza di poterle sempre aumentare, se lo si desidera.
Ma se questo è vero, la felicità non si può trovare che nell'Infinito, cioè nel Bene sommo, cioè in Dio, per usare un termine d'uso abituale tra noi". E i cattivi? Ecco la risposta originale: "I cattivi dovrebbero essere portati in tribunale non da accusatori sdegnati ma da amici carissimi, proprio come si fa per il malato con il medico".
Ultima domanda. Che cos'è la vita dell'uomo? È Filosofia (meglio è Boezio stesso!) che risponde: "La vita è un combattimento e non un gioire tra le delizie o un marcire tra i piaceri. Bisogna dunque che ogni uomo si faccia la propria fortuna…" cioè costruisca se stesso nell'impegno quotidiano. Un ultimo consiglio sulla libertà: "L'uomo è libero quanto più si mantiene legato al piano provvidenziale di Dio ed è tanto meno libero quanto più si lega al corpo e alle sue passioni". Che sia valido ancora oggi?
(Autore: Mario Scudu sdb)
Boezio, nato a Roma nel 480 circa dalla nobile stirpe degli Anicii, entrò ancor giovane nella vita pubblica, raggiungendo già a venticinque anni la carica di senatore. Fedele alla tradizione della sua famiglia, si impegnò in politica convinto che si potessero temperare insieme le linee portanti della società romana con i valori dei popoli nuovi. E in questo nuovo tempo dell'incontro delle culture considerò come sua propria missione quella di riconciliare e di mettere insieme queste due culture, la classica romana con la nascente del popolo ostrogoto. Fu così attivo in politica anche sotto Teodorico, che nei primi tempi lo stimava molto. Nonostante questa attività pubblica, Boezio non trascurò gli studi, dedicandosi in particolare all’approfondimento di temi di ordine filosofico-religioso.
Ma scrisse anche manuali di aritmetica, di geometria, di musica, di astronomia: tutto con l'intenzione di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi tempi, la grande cultura greco-romana. In questo ambito, cioè nell’impegno di promuovere l'incontro delle culture, utilizzò le categorie della filosofia greca per proporre la fede cristiana, anche qui in ricerca di una sintesi fra il patrimonio ellenistico-romano e il messaggio evangelico. Proprio per questo, Boezio è stato qualificato come l’ultimo rappresentante della cultura romana antica e il primo degli intellettuali medievali.
La sua opera certamente più nota è il De consolatione philosophiae, che egli compose in carcere per dare un senso alla sua ingiusta detenzione. Era stato infatti accusato di complotto contro il re Teodorico per aver assunto la difesa in giudizio di un amico, il senatore Albino. Ma questo era un pretesto: in realtà Teodorico, ariano e barbaro, sospettava che Boezio avesse simpatie per l’imperatore bizantino Giustiniano. Di fatto, processato e condannato a morte, fu giustiziato il 23 ottobre del 524, a soli 44 anni. Proprio per questa sua drammatica fine, egli può parlare dall’interno della propria esperienza anche all’uomo contemporaneo e soprattutto alle tantissime persone che subiscono la sua stessa sorte a causa dell’ingiustizia presente in tanta parte della ‘giustizia umana’. In quest’opera, nel carcere cerca la consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere, proprio in questa situazione, tra i beni apparenti – nel carcere essi scompaiono – e i beni veri, come come l’autentica amicizia che anche nel carcere non scompaiono.
Il bene più alto è Dio: Boezio imparò – e lo insegna a noi – a non cadere nel fatalismo, che spegne la speranza. Egli ci insegna che non governa il fato, governa la Provvidenza ed essa ha un volto. Con la Provvidenza si può parlare, perché la Provvidenza è Dio. Così, anche nel carcere gli rimane la possibilità della preghiera, del dialogo con Colui che ci salva. Nello stesso tempo, anche in questa situazione egli conserva il senso della bellezza della cultura e richiama l’insegnamento dei grandi filosofi antichi greci e romani come Platone, Aristotile – aveva cominciato a tradurre questi greci in latino - Cicerone, Seneca, ed anche poeti come Tibullo e Virgilio.
La filosofia, nel senso della ricerca della vera saggezza, è secondo Boezio la vera medicina dell’anima (lib. I). D’altra parte, l’uomo può sperimentare l’autentica felicità unicamente nella propria interiorità (lib. II). Per questo, Boezio riesce a trovare un senso nel pensare alla propria tragedia personale alla luce di un testo sapienziale dell’Antico Testamento (Sap 7,30-8,1) che egli cita: “Contro la sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Lib. III, 12: PL 63, col. 780). La cosiddetta prosperità dei malvagi, pertanto, si rivela menzognera (lib. IV), e si evidenzia la natura provvidenziale dell’adversa fortuna. Le difficoltà della vita non soltanto rivelano quanto
quest’ultima sia effimera e di breve durata, ma si dimostrano perfino utili per individuare e mantenere gli autentici rapporti fra gli uomini. L’adversa fortuna permette infatti di discernere i falsi amici dai veri e fa capire che nulla è più prezioso per l’uomo di un’amicizia vera. Accettare fatalisticamente una condizione di sofferenza è assolutamente pericoloso, aggiunge il credente Boezio, perché “elimina alla radice la possibilità stessa della preghiera e della speranza teologale che stanno alla base del rapporto dell’uomo con Dio” (Lib. V, 3: PL 63, col. 842).
La perorazione finale del De consolatione philosophiae può essere considerata una sintesi dell’intero insegnamento che Boezio rivolge a se stesso e a tutti coloro che si dovessero trovare nelle sue stesse condizioni. Scrive così in carcere: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subìto può tramutarsi, qualora rifiutiate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose” (Lib. V, 6: PL 63, col. 862). Ogni detenuto, per qualunque motivo sia finito in carcere, intuisce quanto sia pesante questa particolare condizione umana, soprattutto quando essa è abbrutita, come accadde a Boezio, dal ricorso alla tortura. Particolarmente assurda è poi la condizione di chi, ancora come Boezio che la città di Pavia riconosce e celebra nella liturgia come martire della fede, viene torturato a morte senza alcun altro motivo che non sia quello delle proprie convinzioni ideali, politiche e religiose. Boezio, simbolo di un numero immenso di detenuti ingiustamente di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è di fatto oggettiva porta di ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota.
Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 12.03.2008)
Manlio è parte integrante del lungo nome del grande filosofo e poeta, cancelliere del re ostrogoto Teodorico: Anicio Manlio Torquato Severino Boezio. Nato a Roma circa il 475 da un patrizio della gens Anicia che fu console sotto Odoacre, è uno dei più grandi rappresentanti della cultura greco-romana nell’età dei regni barbarici, congiungendo nella sua opera, l’eredità del classicismo pagano con gli ideali e il pensiero cristiani, dando un profondo contributo alla formazione della filosofia medioevale.
Fu senatore a 25 anni, console unico nel 510. Sposò Rusticiana divenendo genero dell’imperatore Simmaco e cognato delle sante Proba e Galla; ebbe due figli Simmaco e Boezio che diventeranno consoli nel 522.
Collaborò con Teodorico contribuendo a diffondere fra i Goti l’humanitas romana e cristiana.
L’integrità della sua coscienza lo costrinse ad opporsi ad ingiustizie perpetrate alla corte di Teodorico, difendendo anche il senatore Albino, accusato ingiustamente di tramare contro il re d’accordo con l’imperatore d’Oriente Giustino.
A Verona la difesa dell’accusato lo rese inviso a Teodorico, ormai disposto a vendette sanguinose. Fu accu-
sato a sua volta sulla base di calunnie prezzolate, pertanto fu condannato senza appello dal re, il quale chiese la ratifica della pena ad un senato pauroso e servile. Esiliato a Pavia, fu racchiuso da
Eusebio prefetto di quella città, nel battistero della vecchia cattedrale in Agro Calventiano e lì ucciso nel 524.
Dopo la morte di Teodorico avvenuta il 30 agosto 526, il corpo di Boezio fu sepolto a Pavia nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro.
Benché non riportato nel ‘Martirologio Romano’, ebbe culto a Pavia almeno dal sec. XIII, la sua festa fu celebrata il 23 ottobre data supposta della sua morte. La dignità di martire e la sua santità furono celebrate anche da Dante nella Divina Commedia (Paradiso, X, versetto 124 e segg.); anche Giosué Carducci nel poetare sulla fine di Teodorico nel Vulcano di Lipari, scorge in cima al monte brillare un’ampia fronte: “sanguinosa in un sorriso / di martirio e di splendor: / di Boezio è il santo viso, / del romano senator”.
L’opera più famosa di Boezio è quella da lui scritta in carcere nel 523-524: il De consolatione philosophiae in 5 libri che raccolgono la ‘Summa’ delle sue esperienze culturali e umane. Nelle miniature che ornano i Codici delle sue opere, il santo è raffigurato seduto in cattedra o sdraiato in atto di scrivere con a lato assistito e ‘consolato’ dalla Filosofia, donna bella che reca ricamate nelle sue vesti le lettere greche simbolo della filosofia pratica e teoretica, unita fra loro da una scala.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Severino Manlio Boezio, pregate per noi.

*San Teodoreto di Antiochia - Martire (23 ottobre)

Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, San Teodoreto, sacerdote e martire, che, come si tramanda, fu arrestato dall’empio Giuliano, imperatore d’Oriente, per aver perseverato nel professare la propria fede in Cristo e condotto, infine, al martirio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodoreto di Antiochia, pregate per noi.

*Beato Tommaso Thwing - Martire (23 ottobre)

Martirologio Romano: A York in Inghilterra, Beato Tommaso Thwing, sacerdote e martire, che, sotto la falsa accusa di congiura, fu per ordine del re Carlo II impiccato e crudelmente sventrato, ottenendo così la palma del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Tommaso Thwing, pregate per noi.

*San Vero di Salerno - Vescovo (23 ottobre)

V sec. (?)
San Vero è il terzo vescovo di Salerno.

Molto incerta è l'origine della diocesi.
La tradizione tramanda i nomi di alcuni santi vescovi salernitani vissuti nei primi tempi, intorno al V secolo, Bonosio, Grammazio, Vero e Valentiniano. Tuttavia il primo vescovo storicamente documentato è Gaudenzio, presente al sinodo romano del 499.
San Vero è detto anche Ursus nel “Liber confratrum” di San Matteo (sec XI e XII).
Nella cronotassi ufficiale della diocesi di Salerno, è stato inserto tra San Grammazio e San Valentiniano. Se San Grammazio, si ritiene sia deceduto nel 490 e, Gaudenzio, quinto vescovo lo troviamo citato nel 499, anche San Vero lo dobbiamo collocare alla fine del V secolo.
Risulta incerto e breve il periodo del suo episcopato. Si ritiene che il suo corpo sia insieme ai primi vescovi della diocesi nella cripta della Cattedrale.
La sua festa, secondo il martirologio romano, è stata fissata al 23 ottobre.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Vero di Salerno, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (23 ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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